L’Europa vera

All’inizio dell’anno, in una sua intervista al quotidiano La Stampa, l’allora premier Enrico Letta paventava un confronto aspro tra partito pro e contro Euro, come scenario della campagna elettorale per il rinnovo del Parlamento Europeo. Le prime avvisaglie della campagna per le elezioni del prossimo 25 maggio paiono rispettare su tutto il territorio europeo, con toni aspri ed alleanze trasversali alle stesse nazioni, le previsioni dell’ex premier.

È lecito chiedersi come mai siamo arrivati ad un referendum pro o contro l’integrazione europea. Le caratteristiche di uno stato sono battere moneta, amministrare la giustizia e avere una politica estera e un sistema di difesa comuni. Già negli anni cinquanta Alcide De Gasperi, europeista convinto, propose un esercito europeo segno tangibile per dare il via ad un processo di integrazione europea. Alla proposta del presidente del consiglio italiano si opposero con decisione i maggiori leader europei, primo tra tutti il presidente francese Charles De Gaulle. Era evidente a tutti come non ci fosse la volontà di cedere parte della sovranità dei singoli stati. Le due guerre mondiali nate in Europa non avevano ancora insegnato nulla e il sentimento europeo, pur portato avanti da grandi personalità come lo stesso De Gasperi, Adenauer e Schuman, non aveva riscontri positivi nelle cancellerie.

Il processo europeo continuò comunque il suo cammino, lento ma deciso. Il 25 marzo 1957 si arrivò alla firma del Trattato di Roma che costituì la Comunità economica europea. Ma è proprio quell’aggettivo economica che lascia da subito perplessi. Pare che le nazioni del vecchio continente vedano come prioritaria un’alleanza economica, che contrasti il predominio degli Stati Uniti e l’ascesa del Giappone, piuttosto che impegnarsi verso quello stato federale europeo tanto auspicato da Altiero Spinelli. Corrosiva a proposito la battuta del segretario di stato americano Henry Kissinger: “Volevo sentire il parere dell’Europa ma non ho trovato il numero di telefono”. È vero che dal 1979 si arriva al voto a suffragio universale di un Parlamento Europeo, ma esso non si può in alcun modo paragonare ai parlamenti nazionali, a partire dal fatto che l’organismo di governo europeo non è eletto dal Parlamento ma dai governi dei paesi membri, secondo un ampio metodo spartitorio. La stessa Corte europea di Giustizia, pur rappresentando un passo avanti, non ha gli auspicati poteri coercitivi verso i governi nazionali. Nel frattempo la realtà economica globale si fa sempre più concorrenziale e interconnessa per questo l’integrazione da questo punto di vista ha bisogno di brusche accelerate, soprattutto dopo il crollo dei regimi del socialismo reale, che si affacciano anch'essi sulla soglia del processo di integrazione.

Nel 2001 si arriva, dopo 44 anni dal Trattato di Roma, alla moneta unica europea. L’Europa esercita finalmente una delle tre prerogative dello stato nazionale. Si capisce da subito però che questo risultato sconta una corsa dettata più dal sistema economico globale che non da un’effettiva integrazione delle economie dei paesi che fanno parte della nuova moneta unica. La stessa scelta dei tanto vituperati parametri di Maastricht e di molti altri meccanismi, che regolano la moneta unica, appaiono come frutto di un compromesso fortemente sbilanciato verso le economie più forti del continente. L’Italia certamente ci mette del suo con il cattivo governo del passaggio dalla moneta nazionale a quella europea. Ad aggravare la situazione è la spirale recessiva, che colpisce in particolare le economie nazionali più deboli e maggiormente indebitate.

Nel frattempo non si fa nulla per fare passi in avanti verso uno stato federale europeo. La Costituzione europea, accozzaglia di compromessi, viene rigetta dalla maggior parte dei paesi che la sottopongono a referendum e alla fine viene approvata pur non rappresentando sostanzialmente nulla, per la sua estrema genericità. Il risultato è un Unione estranea ai propri cittadini, che ora appare ancora più indigesta a fronte di politiche economiche che non si occupano di crescita ma cercano soltanto di rispettare parametri stantii a fronte di un’epocale cambiamento del sistema economico globale che non può essere semplicemente derubricato come una crisi ciclica. A fronte di questa situazione è facile per movimenti e partiti “No Euro” scagliarsi in modo molto spesso populista contro la moneta comune, a loro dire, origine e causa di ogni male.

Il problema ci pare però che non sia l’Euro ma bensì la necessità, ritornando a De Gasperi, che si proceda verso una reale integrazione non solo economica e a una forte cessione di sovranità da parte dei singoli stati. Quindi ci pare oggi sbagliato scontrarsi tra favorevoli e contrari alla moneta unica. Ciò che siamo chiamati a decidere è se vogliamo o meno una vera integrazione europea e quindi se vogliamo o meno un Europa unita che non si limiti ad un economia comune, perché se ci limitassimo a questo il rischio è davvero il naufragio del vecchio continente. Con o senza l’Euro, a quel punto, sarebbe davvero indifferente.

Massimiliano Franzoni

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