L’enciclica dei gesti scomunica e accoglie

L’enciclica dei gesti è così che ormai unanimemente è stato ribattezzato il piano pastorale, mirabilmente illustrato nell’Evangelii gaudium, di Papa Francesco.

Bisogna però prestare attenzione e non lasciarsi prendere dalle parodie giornalistiche e dal tentativo per certi versi spregiudicato dei media di trasformare il Papa in una macchietta del buon cuore o in una starlette da talk o da fiction.

Bergoglio è un gesuita e il suo piano pastorale non può non introdurre una continuità di dottrina con il Concilio, vero faro della Chiesa Universale, con elementi di rottura rispetto a una prassi pastorale stanca e stantia.Incontrando i delegati dell’Azione Cattolica nel maggio scorso ha fatto un’affermazione molto forte, che è il segno predominante di questo suo primo anno di ministero. Non possiamo rinchiudere Gesù Cristo nelle nostre Chiese. Dobbiamo lasciare che almeno Lui possa uscire per le strade.

Papa Benedetto ci aveva spiegato nella sua trilogia su Gesù, che il Salvatore è realtà storica ed essendo vero uomo nella storia invita la nostra ragione a seguire il suo esempio non come una qualsiasi dottrina o filosofia, ma come un prassi di vita quotidiana. Papa Francesco continua e rende concreta la testimonianza del suo predecessore invitandoci a seguire Gesù sulle strade del mondo, abbracciando in pieno la radicalità evangelica, che ci invita ad essere dalla parte del debole e dell’indifeso.

Quindi l’enciclica dei gesti non è altro che il tentativo di rendere tangibile nel mondo questa scelta e se necessario di farlo anche con gesti di discontinuità, rispetto ad un passato spesso troppo morbido o troppo duro su alcuni temi.

La scomunica verso i mafiosi, pronunciata con decisione nella sua visita alla Diocesi di Cassano allo Jonio, riprende nei toni e nelle stesse parole quella pronunciata da Giovanni Paolo II nella Valle dei Templi ad Agrigento il 9 maggio 1993. Fa sue le testimonianze del Beato Don Pino Puglisi, di Don Peppino Diana e di tanti altri sacerdoti e laici, come i giudici Paolo Borsellino e Rosario Livatino, che hanno messo in gioco la vita per rendere tangibile questa scomunica. Mentre allo stesso tempo prende le distanza da una chiesa stantia e fortemente pre conciliare incarnata negli anni sessanta dalla debole reazione del Cardinale Ruffini al dilagare del legame tra la mafia, la chiesa e una parte della Democrazia Cristiana.

Un altro legame, che si può trovare perfettamente insito nelle parole e nell'azione di Bergoglio, è quello con la frase al numero 83 della Pacem in Terris di Giovanni XXIII “non si dovrà però mai confondere l’errore con l’errante”. Così come spiega bene il segretario della Cei Mons. Nunzio Galantino: il gesto della scomunica non è stato compiuto da Papa Francesco “per condannare, ma per invitare alla conversione chi è slegato della relazione con Dio”.

Nella stessa logica va letta la frase pronuncia dalla stesso Francesco sull’aereo di ritorno dalla Gmg brasiliana. Di fronte ad una domanda di un giornalista sul tema dell’omosessualità, quasi in un esclamazione rivolta a Dio ha affermato “chi sono io per giudicare”. I commentatori si sono stracciati le vesti, chi accusando il Papa di aver buttato a mare la dottrina e la morale millenaria della Chiesa e chi invece vedeva il Santo Padre già schierato per le unione civili o per i matrimoni omosessuali. Invece il Papa non ha fatto altro che ripetere le parole di Gesù alla Maddalena: “neanch’io ti condanno…”.

Papa Francesco non vuole abdicare in alcun modo dalla dottrina dei principi non negoziabili, anzi tende ad ampliarli spingendosi in modo chiaro e forte contro la mafia, contro la guerra, contro le strutture economiche di morte ecc.. Però cammina con Gesù sulle strade del mondo e pratica come Gesù stesso amore e misericordia. Come Chiesa e come cristiani siamo chiamati a fare lo stesso. 

Massimiliano Franzoni

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